Autore: GIANMARIA FERRANTE
Editore: Golden Press
Disponibilità: IMMEDIATA
Pagine: 140
ISBN: 978-88-99042-65-3
Prezzo: € 15,00
DESCRIZIONE
I segmenti, in sé compiutamente narrativi, che compongono questa sorta di
partitura lirica, orfica e perfettamente tragica, negano nel loro complesso la
linearità narrativa, rifuggendone anzi come per precipua e coerente necessità
dell'assunto tematico di base.
L'architettura della presente opera di Ferrante, "Abissi", poggia su solide
ed efficaci fondamenta da rappresentazione iperrealista, in cui l'atmosfera di
solennità grottesca, specifica cifra espressiva dell'autore, sorregge e legittima
la sontuosa sequenza di simbologie che di volta in volta compaiono, prendono
forma, agiscono, mutano fino a confondersi in un lavorìo metamorfico di
attenta e precisa valutazione e costruzione.
Già la minaccia espressa nei primi tre incipit prepara il lettore-spettatore
alla qualità delle immagini da orrida visione a cui va incontro, con riferimenti
all'assolutezza storica delle armi, all'uomo visto come inane involucro,
burattinesco e squallido, della propria nullità e all'agonia protratta e lenta
della civiltà da lui stesso messa in piedi e alla quale assiste in modo stolido,
dimostrando risibile ingenuità.
Le tre sezioni in cui è articolata l'opera (che definire lirica sembrerebbe,
oltre che riduttivo, decisamente inappropriato, data la struttura
intrinsecamente epica, benché di un epos rovesciato, ovvero in negativo quanto
a miti e valori) suggeriscono la finzione dei tre atti di una tragedia in cui il
tutto ci si disvela. Finzione, appunto. Rappresentazione teatrale, finta
anch'essa, per una "mandria" ottusa di spettatori, inutile precisarlo, finti, che
cercano assurdamente verità sbirciando quasi in segreto, forse per non
confessare a se stessi di essere parte integrante dell'intera finzione.
L'inizio è lento, studiato, si percepiscono anche i suoni rimbombanti in
modo avvolgente per introdurre alla visione sotterranea, infernale, sepolcrale,
viscerale che l'ipotetico spettacolo, sul cui filo immaginario si snoda il tutto,
intende trasmettere.
I personaggi degli "Incontri" si susseguono con comparse continue, in fila,
come in una danza macabra, e la poesia qui rivela il proprio taglio,
espressivamente riuscito e felice, di didascalia essenziale della presunta
rappresentazione, facendosi preziosa indicazione scenica per suggerire abiti e
contegno dei singoli figuranti, contesti e pretesti, scene corali stilizzate di un
delirio in divenire. Tutto infatti sembra avvenire fuori dalla scena stessa
(l'osceno, appunto, come da tradizione tragica), nelle profondità della terra,
negli abissi da cui emergono alla vista, sporadicamente e senza ordine alcuno,
personaggi, archetipi, forme e animali servendosi di passaggi, di buchi, di
pertugi.
La seconda parte ha qualche elemento di lirismo in più. Le immagini si
fanno cupe, crudeli, feroci. Il Mediterraneo si fa gorgo di morte,
l'ecatombe è chiara nel bagno di sangue, "Il vortice rosso" che aleggia nei versi,
prevalentemente due scarni distici per lo più simmetrici avvolgenti un corpo
centrale più corposo e narrativo di quattro ipermetri irregolari.
La storia e le presunte conquiste dell'uomo, alla sua civiltà, assumono
sembianze grottesche e contorni inquietanti. Ma è ancora realtà d'abisso, goffa
e proterva. L'elemento del ghiaccio completa quello del mare (sempre acqua).
Poi l'annuncio del fuoco e l'arrivo dei barbari.
Nella terza e ultima parte la speranza di un uomo nuovo è troncata sul
nascere. I pezzi che emergono dalle rovine dell'incendio, i cocci infranti,
testimoniano l'impossibilità di ricucire il tutto in forma autentica. La
simbologia del "Cieco nevrotico" è limpida: troppe valigette, troppe parole
inutili e inutili onori nei salotti da schermo televisivo, troppi miti rocchettari a
obnubilare le menti. Solo ossa da rosicchiare come ultima illusione del pasto.
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