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Mediterranea



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Author: GIANMARIA FERRANTE
Publisher: GOLDEN PRESS GENOVA
Availability: IMMEDIATE
Pages: 177
ISBN: 978-88-89558-66-9
Price: € 15,00
DESCRIPTION

L’incipit della presente opera di Gianmaria Ferrante, alcune pagine addietro, contiene in nuce la tripartizione del canzoniere Mediterranea; le figure dell’uomo e della sabbia, del falco sul campo di battaglia e del miraggio sembrano anticipare, in un ordine non immediato ma ricostruibile agevolmente, le tre sezioni della raccolta: Dieci messaggeri, Nulla resta, Tre monete. Il volume procede dall’universale al particolare, tracciando all’inizio ampi affreschi in cui la storia e lo spazio si fondono in una convergenza di destini ineluttabili per poi stringere il campo di osservazione su immagini maggiormente focalizzate e per terminare infine sui ritagli di suggestioni individuali, frammentate, minimali come l’applauso conclusivo davanti ad un palco vuoto.
L’emblema della storia si manifesta limpido fin dalla prima lirica: una storia che va oltre il tempo, diventa tempo essa stessa inglobando il pensiero di un uomo e di tutta una serie di popoli, lasciando in sospensione ed in attesa gli effetti di un respiro solenne fatto di orme indelebili, di ombre, di allucinazioni portate dal sole estivo, o dal vento di scirocco, sulla superficie delle pietre. Solo il poeta può dare un senso, se andiamo a considerare “senso” la parola corretta, a questo avvertimento profondo, viscerale, di un mistero che travalica i secoli e macina il passato nel presente, mescolando le contraddizioni e gli opposti del tempo in un’unica colata.
Il Mediterraneo, vero protagonista dell’opera, pare essere il costante punto d’approdo dei vincoli della storia, in un percorso che talvolta si indovina orientato da nord a sud, sia nel riferimento ricorrente alla figura dell’imperatore “Svevo” per eccellenza ma anche velato negli accenni ad Alessandro Magno.
Una civiltà antica riaffiora prepotente dalle immagini create, ed è ovunque storia del Mediterraneo, consapevolezza interiore di un tempo assoluto, che ripercorre nelle immagini fisse (baluginanti al sole di una sorta di estate perenne) i movimenti degli dei e degli eroi di una Magna Grecia di quando in quando reale e palpabile o simbolica, metaforica e matomorfica.
La minaccia aleggiante è infatti un ritorno, solenne e definitivo più che ciclico, della storia, come se nel paesaggio fossero rimaste impresse le immagini di guerrieri pronti a rivitalizzarsi, a riprendere forma e movimento, armi e crudeltà, allo scopo di tracciare ancora le linee universali dei destini, tra silenzi e frastuono, tra rumor di spade quanto di cingoli d’acciaio.
E così una lunga serie di “ultime” apparizioni, materializzazioni del sogno in agguato, paventano comparse di ultimi guerrieri, ultimi armigeri, ultimi cavalieri, con contorno di falò e di tamburi, di colonne e ruderi, sotto l’incombere di una sorta di cadenzato segnale costituito dal tuono che, quasi ad intervalli regolari, giunge a scandire i passaggi, le aperture e le chiuse di alcune liriche, certe fasi di transito da una veduta ad un’epifania.
Il tessuto immaginifico del paesaggio è punteggiato da riferimenti precisi incastonati con sorprendente attenzione alle simmetrie; per un certo numero di segmenti del canzoniere, ciascuna lirica possiede un’anima che si chiama Pollino, Aspromonte, Sila, Salento, Murge, Gargano, o ancora Siracusa, Taranto, Ostuni, Sibari e poi gli squarci su Adriatico, Jonio ed Egeo ma anche Mesopotamia, Libia e Libano per chiudersi idealmente su Dalmazia e Montenegro.
È la poesia a cogliere gli aspetti più profondi e misteriosi che nessuna guida, o nessuna indicazione di depliant, potrà mai fornire al “turista”: la restituzione di immagini e suoni profondi del passato, non per far rivivere ma per lasciar “vivere” ciò che è e sarà sempre, anche a prescindere dallo stato di vestigia in cui appare. Gli accenni al turista, alle macchine, all’acciaio, al presente, costituiscono un lampeggiante riferimento stilizzato alla vergogna prosaica e volgare che stride nel testo di alcune liriche e stabilisce un confine forte di dimensione esistenziale; si pensi al confronto tra la solennità delle atmosfere eroiche emergenti dal passato e l’onta dell’”ultimo sequestrato in una buca”, sulle montagne di Calabria. Oppure, in Gemono, dove sembra circostanziarsi un presente lontano e vicino insieme, comunque “mediterraneo”, comunque universalmente storico, comunque terribile e guerresco, ferino e immenso.
L’attenzione metrico-ritmica di Ferrante è perfettamente accordata all’aulicità dei temi trattati e delle attentissime, quasi maniacali, scelte lessicali di cui il poeta veste con sapienza l’andamento monotonico e di squisita musicalità interiore del suo verseggiare; le parole si rincorrono, si attraggono, vibrano per simpatia (“sorgono”/ “gorgo”), e di esse colpisce efficacemente soprattutto la misura estrema delle scelte riferite ai pesi: mai sovrabbondanti, mai di semplice appoggio o di transito. Sono tutte parole titolari, valide in sé, e sfilano agili e corpose nello sviluppo verticale dei versicoli, come anelli di una collana, diseguali e apparentate, allitteranti (“il tempio greco scardinato dal tempo”) e sinestetiche (“Oggi ribolle nel bacile d’Oriente l’oro antico”). La giostra dei rimandi fonici accresce ovunque la tensione espressiva e colora i contenuti di un’espressività capace di rinnovarsi nell’uniformità cadenzata dei senari e dei settenari che, di strofetta in strofetta, ed anche nei prevalenti distici conclusivi di ciascun segmento lirico, affiorano ora gradevoli ed ora potentemente stridenti dai brevi versi tagliati, a vantaggio di un andamento che risulta solo graficamente sottile, quando al contrario propone un respiro ampio e avvolgente alla lettura.


 
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